Paolinus ha valutato La parte sbagliata: 3 stelle
La parte sbagliata di Davide Coppo
Cosa spinge un giovane di buona famiglia, senza particolari traumi alle spalle, a scegliere la via dell’estremismo politico? Siamo negli …
Mi applico ma non sono intelligente.
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Cosa spinge un giovane di buona famiglia, senza particolari traumi alle spalle, a scegliere la via dell’estremismo politico? Siamo negli …
A me è piaciuto, racconta del furto di un'anima in modo molto profondo. Se invece vi fermate in superficie parla di influencers e social networks (ed in ogni caso lo fa bene)
La storia della lotta armata in Italia raccontata da uno dei protagonisti, senza le dietrologie, le montature complottiste, le analisi con il senno di poi. Un racconto nudo e crudo che aiuta ad avere un quadro un po' più chiaro degli anni '70 e '80.
Solamente mi è rimasto l'amaro in bocca a pensare che terrorismo nero e mafia non sono stati combatutti dallo Stato con la stessa intensità (ed infatti non sono stati sconfitti).
Dopo "La parte sbagliata" e "Un contadino nella metropoli: Ricordi di un militante delle Brigate Rosse" mi ci voleva qualcosa di leggero e rilassante e l'ho trovato in questo libro. La trama si basa sul principio, comune ai film dell'orrore, per cui il protagonista fa sempre scelte opposte a quelle che farebbe una persona qualunque nella vita reale ma lo scopo della storia è intrattenere e non essere verosimile quindi va bene così. La scrittura è articolata e divertente, il quartetto formato da Smilzo, bambina, vecchio professore e chihuahua è spassoso e simpatico. Originale il personaggio del commissario impacciato ed insicuro che per una volta sfigura davanti alla cultura del suo sottoposto.
Insomma. non badando troppo alla coerenza della trama ed al finale frettoloso il racconto diventa un piacevole lettura.
Non mi sento a mio agio a scrivere una recensione di un classico della letteratura, sul capolavoro di Hugo persone più competenti di me possono dare alla luce intere tesi, chi sono io per mettere le stelline...farò finta si tratti di un romanzo qualunque e scriverò cosa mi ha lasciato.
Innanzitutto i protagonisti ti rimangono nel cuore, Jean Valjean e Cosette su tutti ma anche Fantine, Marius, il monello Gavroche e figure apparentemente secondarie come Eponime: il merito è della prosa di Hugo, impareggiabile nel descrivere l'interiorità dei personaggi e gli eventi che si trovano ad affrontare.
Come si direbbe per un thriller moderno la trama è avvincente, anche se ad osservarla con un po' di distacco è curioso come in una città grande come Parigi ed una nazione estesa come la Francia alcuni personaggi finiscano sempre per incontrarsi - ad esempio Gavroche che, senza rendersene conto, si prende cura …
Non mi sento a mio agio a scrivere una recensione di un classico della letteratura, sul capolavoro di Hugo persone più competenti di me possono dare alla luce intere tesi, chi sono io per mettere le stelline...farò finta si tratti di un romanzo qualunque e scriverò cosa mi ha lasciato.
Innanzitutto i protagonisti ti rimangono nel cuore, Jean Valjean e Cosette su tutti ma anche Fantine, Marius, il monello Gavroche e figure apparentemente secondarie come Eponime: il merito è della prosa di Hugo, impareggiabile nel descrivere l'interiorità dei personaggi e gli eventi che si trovano ad affrontare.
Come si direbbe per un thriller moderno la trama è avvincente, anche se ad osservarla con un po' di distacco è curioso come in una città grande come Parigi ed una nazione estesa come la Francia alcuni personaggi finiscano sempre per incontrarsi - ad esempio Gavroche che, senza rendersene conto, si prende cura dei suoi due fratelli in una notte fredda e piovosa ed anche curioso che le forze dell'ordine siano sempre rappresentate dall'immancabile ispettore Javert, onnipresente ad occuparsi di reati ordinari o di insurrezioni - ma probabilmente era proprio intenzione dell'autore incrociare i loro destini in fasi diverse della narrazione per mostrare come le nostre azioni e le nostre scelte abbiano sempre un seguito ed anche a dimostrare come sia difficile liberarsi di una condizione iniziale anche se la nostra vita ha preso una piega completamente diversa.
La storia di Francia dal 1789 in poi non fa da contorno al libro ma è a sua volta protagonista, i personaggi sono immersi nelle vicende politiche delle rivoluzioni e delle contro-rivoluzioni fino alla partecipazione all'insurrezione del 1832. In tanti momenti la lettura si fa anche difficile e pesante per l'abbondanza dei dettagli o la numerosità dei riferimenti letterari e storici a me scononosciuti ma è un romanzo che si presta a letture su piani differenti ed i passaggi per me faticosi (ad esempio la battaglia di Waterloo) possono risultare appassionanti ed unici per altri ed in ogni caso è Hugo stesso che ne spiega il valore:
"I fatti che saranno narrati appartengono a quella realtà, drammatica e vivente che lo storico a volte trascura, per mancanza di tempo e di spazio. Eppure è lì la vita, il palpito, il fremito umano. I piccoli particolari - crediamo di averlo detto - sono - per così dire - il fogliame dei grandi avvenimenti e si perdono nella lontananza della storia. L'epoca detta delle sommosse abbonda di particolari di questo genere."
E pur in un contesto storico così preciso I miserabili finisce per essere un romanzo senza tempo perché dentro c'è l'umanità tutta, in un filo diretto che dal monello Gavroche va alle banlieues parigine contemporanee, con storie di povertà e miseria che il passaggio dalle monarchie alle democrazie non è riuscito a debellare, segno del fatto che tanti cambiamenti non hanno evidentemente cambiato nulla ed in questo contesto si muove l'unica critica seria che posso muovere ad Hugo: tutto preso dalle rivolte del 1832 la sua grande empatia per le classi più povere non è sufficiente a non bocciare le insurrezioni ben più importanti del 1848 con un giudizio tranchant di poche righe, lui che ci ha abituato a spendere pagine e pagine sui dettagli di ogni cosa: "Il giugno 1848 fu un avvenimento a sé, quasi impossibile da classificare nella filosofia della storia. Tutte le parole che abbiamo pronunciato or ora, vanno messe da parte quando si parla di quella straordinaria sommossa, nella quale si sentiva la santa ansietà del lavoro che reclamava i suoi diritti. Si dovette combatterla ed era un dovere perché muoveva guerra alla Repubblica; ma alla fin fine, cosa fu il giugno 1848? Una rivolta del popolo contro se stesso". Forse il povero Hugo credeva, come uno dei personaggi del suo romanzo, che sarebbe stato sufficiente togliere di mezzo i re per eliminare le guerre.
Confesso infine di essere andato sul finale, solo in alcuni "passaggi", a velocità 2x o 3x (ovvero leggendo una riga si e due no) ma Hugo riesce contemporaneamente a creare una trama avvincente che ti tiene incollato al libro e nello stesso tempo a divagare... ora io capisco che due protagonisti riescano a fuggire scappando nelle fogne ma 30 pagine dedicate alla storia del sistema fognario parigino rendono l'idea di come il romanzo sia stato riempito da informazioni di carattere enciclopedico e nozionistico che ho trovato eccessive...soprattutto se il lettore è in attesa di capire come faranno ad uscire.
Sono sicuro Jean Valjean, personaggio incredibile e unico, rimarrà con me molto tempo (e sarà dura per i protagonisti dei prossimi libri il confronto).
Un romanzo che non riesce a conciliare la componente di frivolezza e spensieratezza (il flirt della zia della protagonista con l'ispettore lo colorano più di rosa che di giallo) con i temi importanti legati alla prima guerra mondiale, al suffragio universale ed ai diritti delle donne. Un finale con un colpo di scena totalmente slegato dal resto della storia ed una protagonista che indaga senza concludere nulla rendono il racconto quantomeno anomalo rispetto ai canoni del genere. Nonostante questi aspetti è stata comunque una lettura piacevole, forse in questo momento avevo bisogno di una lettura di questo tipo per staccare un po'
Ma chi sono io per scrivere una recensione del capolavoro di Berto, l'unica cosa che posso dire è che deve essere assolutamente letto, sono ben più di cinque stelline e posso solo elencare le tante questioni che me lo hanno fatto sentire così vicino a partire dal difficile rapporto con il padre poi defunto, agli attacchi di panico, al costante senso di smarrimento ed a quel flusso continuo di coscienza che sto tentando di copiare adesso pur cosciente di non avere le sue capacità ed infatti sto per usare un punto cosa che Berto avrebbe fatto diverse pagine più in là. Mi sono sentito lontano invece per il tempo dedicato alla guerra ed alle associazioni fasciste che però nel libro sono appena accennate e sembrano comunque il risultato di una generale sudditanza nei confronti del padre e di una superficialità nell'approccio alle vicende politiche di quegli anni e che sono …
Ma chi sono io per scrivere una recensione del capolavoro di Berto, l'unica cosa che posso dire è che deve essere assolutamente letto, sono ben più di cinque stelline e posso solo elencare le tante questioni che me lo hanno fatto sentire così vicino a partire dal difficile rapporto con il padre poi defunto, agli attacchi di panico, al costante senso di smarrimento ed a quel flusso continuo di coscienza che sto tentando di copiare adesso pur cosciente di non avere le sue capacità ed infatti sto per usare un punto cosa che Berto avrebbe fatto diverse pagine più in là. Mi sono sentito lontano invece per il tempo dedicato alla guerra ed alle associazioni fasciste che però nel libro sono appena accennate e sembrano comunque il risultato di una generale sudditanza nei confronti del padre e di una superficialità nell'approccio alle vicende politiche di quegli anni e che sono comunque marginali rispetto agli interessi verso l'arte e la scrittura.
"e io temo che tutte queste cose bene o male siano entrate a far parte del mio Super-Io il quale ne ha approfittato per farmi prendere in seguito alcune enormi buggerature di carattere patriottico"
Un padre con seri problemi con i congiuntivi, che si firma usando prima il cognome e poi il nome, imprigionato nella sua fedeltà alla patria e nelle burocratiche richieste verso gli enti più disparati si ritrova reincarnato nel super-io di Berto. Totalmente proiettato su se stesso il romanzo è anche un capolavoro di egocentrismo dove tutto il mondo circostante è un contorno, anche quando la sua vita viene a dipendere in modo spasmodico dal conforto e dalla presenza della moglie in tutto il romanzo il lettore non verrà mai a conoscere il nome della "ragazzetta-moglie" e persino per quanto riguarda la figlia sono convinto che il lettore ne venga a conoscenza per il fatto che la scelta del nome è stata oggetto di discussione tra i genitori e sia quindi funzionale alla storia, altrimenti anche lei sarebbe rimasta "figlia".
Magnifico il transfer verso lo psicanalista "vecchietto/basso di statura/di origini meridionali" che con i suoi "difetti" è forse colui che porta più di tutti alla realizzazione dell'opera che garantirà al protagonista-autore imperitura fama.
"e non importa che io provi insieme anche vergogna e senso di colpa per avere cosí a lungo mantenuto residui di diffidenza contro di lui, ora sono pronto alla piú aperta fiducia e sicuro che continuerò fino alla fine questa cura perché pur non credendo a sufficienza nella psicoanalisi credo sconfinatamente in quest’uomo quant’altri mai probo e onesto, proprio cosí padre mio, e in realtà senza che io ne fossi tecnicamente consapevole in quel momento era maturato il primo frutto dell’analisi ossia il transfert, che è trasposizione sulla persona dell’analista di sentimenti ed emozioni riservate nel lontano passato ad un altro che non occorre nominare, o forse si può dire addirittura che il bisogno impulsivo d’amore che nell’infanzia avevo avuto modo di soddisfare con estrema difficoltà ora lo soddisfacevo amando quest’uomo, il quale nonostante la mediocre statura e l’accento meridionale era già mio padre anche se ancora non lo sapevo bene."
Meno mainstream di Philip Roth, meno comico di Woody Allen mi domando se e quanto possano avere attinto questi ultimi dal capolavoro di Berto.
Non ho invece apprezzato l'appendice scritta dallo stesso Berto, ho trovato il giudizio su Cesare Pavese frettoloso, superficiale e arrogante, menomale che riconosce di essere scorbutico ma si rivela anche ignorante quando si ritrova ad esprimere a tutti i costi giudizi sugli altri scrittori ma è anche vero che ci capiva più lui di letteratura rispetto a me e quindi magari l'ignorante sono io.
Ci sono mestieri dove uno sbaglio può causare conseguenze importanti. E no, non parlo degli informatici, anche se i miei capi vivono il down di un database come la fine del mondo (e avevi solo da pagare meglio quello che si occupa dei backup per altro).
Parlo dei medici per esempio, o degli insegnanti.
L'insegnante ha un ruolo cardine nello sviluppo personale di un bambino o ragazzo eppure la scuola è piena di docenti che non percepiscono l'importanza di questa funzione, che lo fanno solo perché era un mestiere come un altro e che magari portano sul posto di lavoro le loro frustrazioni e le loro idee razziste, fasciste, discriminatorie. Una frase fuori posto di un insegnante può pesare come le azioni di un esercito di bulli e non sempre si tratta di superficialità, in alcuni casi, come per alcuni insegnanti in questo libro, si tratta proprio di essere delle …
Ci sono mestieri dove uno sbaglio può causare conseguenze importanti. E no, non parlo degli informatici, anche se i miei capi vivono il down di un database come la fine del mondo (e avevi solo da pagare meglio quello che si occupa dei backup per altro).
Parlo dei medici per esempio, o degli insegnanti.
L'insegnante ha un ruolo cardine nello sviluppo personale di un bambino o ragazzo eppure la scuola è piena di docenti che non percepiscono l'importanza di questa funzione, che lo fanno solo perché era un mestiere come un altro e che magari portano sul posto di lavoro le loro frustrazioni e le loro idee razziste, fasciste, discriminatorie. Una frase fuori posto di un insegnante può pesare come le azioni di un esercito di bulli e non sempre si tratta di superficialità, in alcuni casi, come per alcuni insegnanti in questo libro, si tratta proprio di essere delle m**** (citazione dal libro).
"A scuola non si muore" è uno spaccato sul mondo della scuola, un posto dove alcuni (e sottolineo alcuni) cattivi maestri fanno credere ad incolpevoli ragazzi di essere dei cattivi allievi. Decisamente azzeccato il ruolo della preside, più attenta alle sue scarpe che ad altro e del tutto marginale rispetto alle vicende: la sua quasi inesistenza la dice lunga su come anche nella scuola siano quelli ai piani bassi a fare funzionare le cose.
Margherita Magnani ispira subito simpatia, con le sue debolezze, la sua ipocondria, la sua puzzolente tisana curcuma e zenzero, appassianata di cinema e gialli ha questo grande difetto di trattare i suoi allievi per quello che sono: delle persone.
Sono passato dalle atmosfere cupe e deprimenti della Norvegia di Anne Holt a quelle solari e positive dellla Romagna. Mi ci voleva, dopo la lettura di "Dodici cavalli". Cinematograficamente parlando è come passare da "Uomini che odiano le donne" (che è svedese ok) a "L'ispettore Coliandro". Si tratta in entrambi i casi di gialli o thriller o come li si voglia chiamare ma nel caso scandinavo c'è una sorta di celebrazione del male che diventa protagonista assoluto, nel mondo emiliano il male è lì per essere affontato con ironia e strafottenza: "ci venisse un canchero" direbbe il protagonista Manolo Moretti. Moretti è un anti-eroe che risulta subito simpatico, anche solo per una carriera lavorativa che l'ha portato dal ruolo di sovrintendente della polizia penintenziaria a pizzaiolo, circondato dal capo (un ex-pregiudicato) e da cuochi, camerieri, amici e clienti che vengono ben caratterizzati dall'autore: l'attenzione è suddivisa in parti uguali tra …
Sono passato dalle atmosfere cupe e deprimenti della Norvegia di Anne Holt a quelle solari e positive dellla Romagna. Mi ci voleva, dopo la lettura di "Dodici cavalli". Cinematograficamente parlando è come passare da "Uomini che odiano le donne" (che è svedese ok) a "L'ispettore Coliandro". Si tratta in entrambi i casi di gialli o thriller o come li si voglia chiamare ma nel caso scandinavo c'è una sorta di celebrazione del male che diventa protagonista assoluto, nel mondo emiliano il male è lì per essere affontato con ironia e strafottenza: "ci venisse un canchero" direbbe il protagonista Manolo Moretti. Moretti è un anti-eroe che risulta subito simpatico, anche solo per una carriera lavorativa che l'ha portato dal ruolo di sovrintendente della polizia penintenziaria a pizzaiolo, circondato dal capo (un ex-pregiudicato) e da cuochi, camerieri, amici e clienti che vengono ben caratterizzati dall'autore: l'attenzione è suddivisa in parti uguali tra il vissuto dei protagonisti e gli eventi delittuosi. Il racconto è intervallato da brevi momenti in un cui l'amico parroco si rivolge al figlio del protagonista con delle lettere spiegando i problemi lavorativi e le scelte difficili che hanno portato alla separazione e all'allontanamento. Il clima spensierato del dream team di detective (cit.) viene poi interrotto sul finale quando due situazioni dolorose rimaste seminascoste vengono portate alla luce. Per me sono 4 stelle meritate, in attesa del prossimo "episodio".
Ci sono ricascato. Dopo Anne Holt ho voluto dare una possibilità ad un altro autore di thriller scandinavo.
Stesse atmosfere cupe e deprimenti (mai una gioia si direbbe da queste parti). Protagonisti tristi e soli con l'alcol come rifugio. E tutta la storia che ruota, tanto per cambiare, intorno alla violenza verso donne e bambine. Finale senza un perché. Libri fatti con lo stampino, ma uno stampino brutto.
In scandinavia hanno decisamente "qualche problema" con l'estrema destra misogina e razzista... nel romanzo di Holt si parla di "Uomini che odiano le donne" con un riferimento che mi è sembrato abbastanza esplicito alle opere di Stieg Larsson, anche se il fenomeno "incel", che non conoscevo, non è ovviamente limitato a Svezia e Norvegia.
Probabilmente stavo meglio prima di leggere l'ennesimo libro sulle crudeltà e perversioni che riesce anche solo a pensare l'essere umano.
La trama è avvincente, il testo è ben scritto, scorre velocemente ed è il classico thriller da cui verrebbe fuori un film di successo...anche se i protagonisti, proprio come nei film, fanno scelte che nella vita reale sembrano alquanto improbabili e sono quelle che tengono in piedi il libro. Ho trovato poi una notevole forzatura il fatto che Ebba Braut, amica della protagonista, sia la redattrice del poeta che poi guarda caso si rivela essere...non spoilero...ma …
In scandinavia hanno decisamente "qualche problema" con l'estrema destra misogina e razzista... nel romanzo di Holt si parla di "Uomini che odiano le donne" con un riferimento che mi è sembrato abbastanza esplicito alle opere di Stieg Larsson, anche se il fenomeno "incel", che non conoscevo, non è ovviamente limitato a Svezia e Norvegia.
Probabilmente stavo meglio prima di leggere l'ennesimo libro sulle crudeltà e perversioni che riesce anche solo a pensare l'essere umano.
La trama è avvincente, il testo è ben scritto, scorre velocemente ed è il classico thriller da cui verrebbe fuori un film di successo...anche se i protagonisti, proprio come nei film, fanno scelte che nella vita reale sembrano alquanto improbabili e sono quelle che tengono in piedi il libro. Ho trovato poi una notevole forzatura il fatto che Ebba Braut, amica della protagonista, sia la redattrice del poeta che poi guarda caso si rivela essere...non spoilero...ma così fa sembrare Oslo una cittadina di 100 abitanti dove tutti hanno una qualche relazione con tutti.
Finale troppo veloce e avaro di spiegazioni.
Il terzo episodio de l'Indiano mi ha convinto: L’Indiano era fondamentalmente un anarchico, uno spirito libero. Non sopportava l’idea di essere comandato e nemmeno quella di comandare. Lo schiavo e il padrone sono imprigionati con la stessa catena, che si chiama potere. Chi da un lato, chi dall’altro. Potere esercitato o potere subito. Cambia la prospettiva ma non la dipendenza che esso genera
La trama ti tiene incollato alle pagine e pur essendo frutto di fantasia per ammissione dello stesso autore fa riferimento ad alcuni eventi drammatici che hanno segnato le cronache del secolo scorso. Rimane un bel po' di amarezza a pensare che le crudeltà descritte capitano veramente e che non si verrà mai a capo di alcuni misteri irrisolti che riguardano i rapporti stato-mafia-servizisegreti-chiesa-estremadestra.
Buona la caratterizzazione dei personaggi e del protagonista, efficace e scorrevole la scrittura di Fusco. Ottimo giallo.
Secondo me al libro mancano un centinaio di pagine...interessanti il protagonista e la trama ho avuto una sensazione di fretta nella scrittura, come se l'autore volesse al più presto terminare il racconto ed arrivare alla parola fine. Per carità, nell'era delle serie Netflix dove un contenuto interessante (a volte manco quello) viene dilatato eccessivamente per arrivare a fare puntate su puntate molto meglio un approccio essenziale, però ecco, forse proprio perché mi è piaciuta la storia avrei voluto essere accompagnato con più calma alla fine.
Una storia estremamente attuale di migranti e di disperazione, di politica e di corruzione.
Il libro si fa leggere tutto d'un fiato ed adempie al suo ruolo di thriller, il fatto che a metà libro si scoprano i giochi (o anche prima con un po' di intuito) è probabilmente voluto perché l'azione rimane comunque incalzante con ritmi molto serrati in bilico tra diversi scenari. Dal punto di vista informatico nonostante le molte consulenze (ho notato per esempio HD Moore nei ringraziamenti) rimangono comunque alcuni errori ma in generale l'operazione è riuscita tenendo conto della difficoltà di trattare argomenti quali backdoor, spyware e zero days. Alcuni dettagli rimangono senza risposta: nella prima operazione Jack chiama il CISO dell'azienda che non risponde, cosa che da contratto non doveva assolutamente succedere...questo causa un intoppo che risulta poi critico e alla fine non viene spiegato se c'era un collegamento con la storia o si è trattato di una casualità. Lettura consigliata.