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ha recensito Il male oscuro di Giuseppe Berto

Giuseppe Berto: Il male oscuro (Italian language, 2006) 4 stelle

Capolavoro

5 stelle

Ma chi sono io per scrivere una recensione del capolavoro di Berto, l'unica cosa che posso dire è che deve essere assolutamente letto, sono ben più di cinque stelline e posso solo elencare le tante questioni che me lo hanno fatto sentire così vicino a partire dal difficile rapporto con il padre poi defunto, agli attacchi di panico, al costante senso di smarrimento ed a quel flusso continuo di coscienza che sto tentando di copiare adesso pur cosciente di non avere le sue capacità ed infatti sto per usare un punto cosa che Berto avrebbe fatto diverse pagine più in là. Mi sono sentito lontano invece per il tempo dedicato alla guerra ed alle associazioni fasciste che però nel libro sono appena accennate e sembrano comunque il risultato di una generale sudditanza nei confronti del padre e di una superficialità nell'approccio alle vicende politiche di quegli anni e che sono comunque marginali rispetto agli interessi verso l'arte e la scrittura.

"e io temo che tutte queste cose bene o male siano entrate a far parte del mio Super-Io il quale ne ha approfittato per farmi prendere in seguito alcune enormi buggerature di carattere patriottico"

Un padre con seri problemi con i congiuntivi, che si firma usando prima il cognome e poi il nome, imprigionato nella sua fedeltà alla patria e nelle burocratiche richieste verso gli enti più disparati si ritrova reincarnato nel super-io di Berto. Totalmente proiettato su se stesso il romanzo è anche un capolavoro di egocentrismo dove tutto il mondo circostante è un contorno, anche quando la sua vita viene a dipendere in modo spasmodico dal conforto e dalla presenza della moglie in tutto il romanzo il lettore non verrà mai a conoscere il nome della "ragazzetta-moglie" e persino per quanto riguarda la figlia sono convinto che il lettore ne venga a conoscenza per il fatto che la scelta del nome è stata oggetto di discussione tra i genitori e sia quindi funzionale alla storia, altrimenti anche lei sarebbe rimasta "figlia".

Magnifico il transfer verso lo psicanalista "vecchietto/basso di statura/di origini meridionali" che con i suoi "difetti" è forse colui che porta più di tutti alla realizzazione dell'opera che garantirà al protagonista-autore imperitura fama.

"e non importa che io provi insieme anche vergogna e senso di colpa per avere cosí a lungo mantenuto residui di diffidenza contro di lui, ora sono pronto alla piú aperta fiducia e sicuro che continuerò fino alla fine questa cura perché pur non credendo a sufficienza nella psicoanalisi credo sconfinatamente in quest’uomo quant’altri mai probo e onesto, proprio cosí padre mio, e in realtà senza che io ne fossi tecnicamente consapevole in quel momento era maturato il primo frutto dell’analisi ossia il transfert, che è trasposizione sulla persona dell’analista di sentimenti ed emozioni riservate nel lontano passato ad un altro che non occorre nominare, o forse si può dire addirittura che il bisogno impulsivo d’amore che nell’infanzia avevo avuto modo di soddisfare con estrema difficoltà ora lo soddisfacevo amando quest’uomo, il quale nonostante la mediocre statura e l’accento meridionale era già mio padre anche se ancora non lo sapevo bene."

Meno mainstream di Philip Roth, meno comico di Woody Allen mi domando se e quanto possano avere attinto questi ultimi dal capolavoro di Berto.

Non ho invece apprezzato l'appendice scritta dallo stesso Berto, ho trovato il giudizio su Cesare Pavese frettoloso, superficiale e arrogante, menomale che riconosce di essere scorbutico ma si rivela anche ignorante quando si ritrova ad esprimere a tutti i costi giudizi sugli altri scrittori ma è anche vero che ci capiva più lui di letteratura rispetto a me e quindi magari l'ignorante sono io.