cretinodicrescenzago ha recensito The Creature from Beyond Infinity
Fantascienza di serie B come se piovesse, ed è una goduria
3 stelle
Avviso sul contenuto Commenti espliciti al finale della trama personale dell'eroina
La rilettura di The Dark World è stata galeotta: mi sono appassionato allo stile di Henry Kuttner e ho voluto recuperare il suo primo romanzo, The Creature from Beyond Infinity (anche intitolato A Million Years to Conquer) – e il responso è positivo!
Premetto che come già per The Dark World non bisogna aspettarsi una grande epopea ricca di filosofia, paragonabile a Dune o Starship Troopers]: Kuttner scriveva romanzi brevi editi per le riviste destinate a studenti e pendolari, prodotti paragonabili a un telefilm di basso budget – ma li scriveva con professionalità e dignità, esattamente come esistono dei B-movie di culto ... e questo romanzo è letteralmente una summa perfettamente funzionante di situazioni da B-movie! Più in dettaglio, il buon Hank intreccia assieme due vicende: a una parte abbiamo la trama di viaggi del tempo di Ardath da Kyria, alieno messianico giunto sulla Terra preistorica per rapire esseri umani supergeni da far incrociare in ottica eugenetica (sic); dall'altra abbiamo Stephen Court, superscienziato yankee del 1941 (il romanzo è del '40) in prima linea per salvare l'Umanità da un morbo giunto dalle profondità del cosmo; strada facendo le due trame si intrecciano e passano per le più canoniche scene stock della narrativa sword & sorcery, peplum, fantascienza "di primo contatto" e fantascienza apocalittica, con le irrinunciabili storie d'amore messe perché ci devono stare. Io per primo ho ribrezzo dei minestroni di questo tipo, ma sia durante sia dopo la lettura ho trovato la formula estremamente godibile: si sente che Kuttner non ha mescolato tutti questi aspetti perché era un inetto senza idee, bensì perché aveva familiarità con tutte le forme della narrativa pulp e mirava a comporre una celebrazione affettuosa e a tratti lirica di questo milieu culturale – e io personalmente mi chiedo se la contrapposizione fra Thordred il barbaro e Stephen lo scienziato non servisse a Kuttner per metabolizzare, esternandola, la sua transizione autoriale dal fantasy avventuroso del ciclo Elak of Atlantis alla fantascienza slice of life espressa da Robots Have No Tails... Psicologia spicciola a parte, il romanzo è anche una splendida capsula del tempo di quale doveva essere la mentalità yankee all'inizio della Seconda Guerra Mondiale: la scorrevolissima trama trasuda di fiducia nell'eccezionalismo statunitense e speranza in un progresso tecnocratico improntato alla cooperazione internazionale, più una fascinazione ingenua per l'energia atomica: la sensazione complessiva ha un che della serie classica di Star Trek e a rileggere l'opera oggi, durante la pandemia di Covid-19, sorge spontaneo un sorriso dolceamaro.
Questo detto, il romanzo presenta un notevole punto debole che lo rende meno godibile di The Dark World: i personaggi non caucasici e le figure femminili (piuttosto numerosi sul totale) lasciano tutti intravedere una personalità interessante che però rimane sempre inespressa, schiacciata sotto gli stereotipi razzisti e sessisti che ci aspettiamo dagli anni Quaranta; viene seriamente da mangiarsi le mani al pensiero di ciò che Kuttner avrebbe potuto combinare con quella parte del cast se solo avesse voluto osare, e invece ci ritroviamo con Marion che sostanzialmente decreta la sconfitta di Thordred affondandogli tutta da sola l'astronave rubata, ma questo fuori scena e senza neanche uno straccio di riconoscimento del suo coraggio! Ora capisco con che criteri si distinguono i lavori del solo Kuttner dalle opere scritte a quattro mani con la moglie Catherine Moore...
In chiusura, due parole sull'edizione Gollancz: meno refusi di quanti ne ho trovati in The Dark World, comunque tanti su un testo così breve, qualche svarione di meno nella bibliografia. In generale, romanzo altamente consigliato nel suo essere una piccola onesta produzione leggera.